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Case Study, lei contro il mondo intero

17 Febbraio 2021 - Cultura e vita digitale

[Reading Time: 5 minutes]

Case Study, e non solo

Case Study, lei contro il mondo intero

Niente nomi solo fatti

A tutela degli interessati, sono omessi i nomi veri ed i luoghi,  per tutto  il resto è storia vera, di vita vissuta in prima persona.
Conoscente di famiglia, di una coppia separata, vengo attenzionata da una persona vicina alla madre, chiede di indagare sulla figlia MINORENNE, con utilizzo della scheda dello smartphone, intestata ad uno dei  genitori.
(Diversamente qualsivoglia azione nei confronti di un soggetto non è ammissibile, è inutile dirlo, anche se … )
I genitori, in diversi ambiti, nutrono dubbi sul fatto che Claudia (nome di fantasia) frequenti effettivamente la scuola, e non solo, forse frequenta cattive compagnie.
In diverse occasione pare che la ragazza fosse stata visto in luoghi non soliti, distante alcune km alle normali frequentazioni,  prendendo mezzi pubblici per gli spostamenti, raccontando di essere altrove.

Come è stato “sgamata”?

Treno in ritardo, chiamata alla sorella (più grande patentata, ma non automunita), Rosaria (nome di fantasia) si mette sulla  banchina della stazione dove dice di provenire, ma non la vede… arriva da tutt’altra parte. Iniziano i sospetti. Le prime richieste di spiegazioni.

Non sempre la comunicazione fra sorelle, o fratelli è in assonanza ed empatica.
Ricordate la mia precisazione iniziale, genitori separati, la minore predilige stare con la madre, la maggiore col padre.

 

 

 

Case Study, lei contro il mondo intero

Atti di bullismo

Per farla breve, la ragazza molto “su di peso” spesso bullizzata in classe, sin dalle elementari, è sempre stato il cruccio di casa, anche se la scusa dell’adolescenza è stata troppo spesso usata, per i disagi che C. ha creato.
Un piccolo passo indietro, C. scopre da sola che il padre tradisce la madre, leggendo messaggi sulle chat dello smartphone paterno.
Non solo, i due amanti, si scambiano anche video  HOT, e la ragazzina vede osserva, inghiotte amaro, e  tiene tutto per se.
Il meccanismo che scatta dentro C. può apparire strano, ma non tanto.

Torniamo a come detto, alla richiesta di aiuto.
Perché rivolta a me, NON sono una psicologa, NON sono una mental coach per chi ha necessità di aiuto,  NON sono tante cose, ma so fare il  mio lavoro.
Ovvero social engineering e l’analisi dei dati che acquisisco.
Ho chiesto di “affrontare” da sola la ragazza, spiegando perchè i genitori necessitassero del cellulare, di poter visionare ciò che vi era all’interno e soprattutto, per paura che si potesse fare del male.
In taluni casi dire la verità è la cosa migliore.
Ma senza altri soggetti presenti, poter fare vedere che si è in grado “comunque” di arrivare ai contenuti, alle chiamate, ai messaggi; è una buona scelta.

Case Study, lei contro il mondo intero

Non solo social per approfondire un caso

C. è rimasta sollevata, finalmente qualcuno si era accorto del disagio, c’era necessità di parlare, ma NON in famiglia.
Non sono addentro alle meccaniche, di tutta la complessa questione che ruotava intorno ai 4 soggetti, ma sta di fatto che C. avvisò la madre, della tresca del padre. E la madre non accettò che la figlia minore, potesse “spiare il padre”… anche qui, non mi ergo a giudice, racconto solo i fatti.
Il fatto nudo e crudo è che la ragazza per una sorta di accettazione da parte degli altri iniziò a vendere se stessa.
A chiunque la desiderasse.
A chiunque potesse darle importanza nel peggiore dei modi, l’importante era poter avere qualcuno che potesse darle attenzione.
Riusciì ad entrare in un circuito particolare di forum e chat, che cercavano donne/uomini in sovrappeso, in cui l’aspetto fisico tanto depauperato dagli altri, fosse per lei, una nota positiva.
Bada bene lettore, NON per soldi. Solo per “compagnia”, per una sorta di bolla, di affettività errata, distorta, basta che qualcuno avesse per lei dell’“amore”.

Il cellulare, diario del disagio

Case Study, lei contro il mondo intero

Il cellulare, diario del disagio

Nel cellulare, li in bella vista c’era di tutto.
E quando dico di tutto, è proprio tutto.
Ieri sera, sono stata intervistata da Gabriele Gobbo, abbiamo parlato proprio di educazione tecnologica, di ciò che i genitori, dovrebbero insegnare a bambini e ragazzi, sin dalla più tenera età.
Bisogna andare oltre al rispetto e alla educazione digitale.

Se non si è in grado di comprendere, che un adolescente nel tempo, per giungere ad una tale compromissione di se stesso, ha raggiunto un limite, e tu non riesci a notarlo; è proprio il caso di fermarsi un attimo e di appoggiare il cellulare e di confrontarsi con chi hai intorno in casa.

Le analisi dei dati ricevuti, hanno evidenziato, (purtroppo) amici di famiglia che ben conoscevano il disagio della ragazza, abbiano approfittato della situazione.
Stiamo parlando di un minore. E di adulti.
Amici coetanei, vuoi forse per “noia” o per “diletto” o per mera necessità di (cito) “svuotarsi le palle” hanno ben convenuto che “visto che lei ci stava“, non fosse un reato.

Durante l'”evento”, mi sono adoperata per fare  intervenire un’associazione per la tutela della minori e le famiglie coinvolte, avvocati, ambienti ospedalieri. Si è attivata immediatamente una struttura a livello psicologico, che ha coinvolto tutti.

Le tracce da seguire, come briciole di pane

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Tracce da seguire come briciole di pane

Ogni singola traccia trovata è stata seguita.
Come?

Gmail, lascia traccia di dove vai, cosa fai, dove ti sposti.
L’utilizzo dello smartphone per i pagamenti, è un binario a doppio senso che ti fa seguire le tracce delle tue abitudini.

Non solo social

Sui social, non c’era traccia del disagio, c’erano solo le foto di gruppo della scuola, delle uscite “felici”, e delle giornate belle!
Il buio, la solitudine profonda, era da leggere nelle didascalie delle foto salvate.
Delle bugie raccontate nelle chat dei forum, per farsi “volere bene” per essere accettata, per avere quelle attenzioni mancate.
I dati che sono scaturiti e rilasciati al legale per poter rintracciare nick vari ecc…, erano veramente tanti.
Sapeva di sbagliare ma non c’era modo di poterlo urlare.
Come sempre i social, sono  lo specchio di quello che vuoi fare vedere ad altri.
Quanti ragazzi/e si sono vergognati di fare vedere la propria casa durante la DAD?
Quanti hanno subito atti di cyber bullismo dopo le dirette su ZOOM ed altri sistemi online?
Ci avete mai pensato?

Segnali da non sottovalutare

 

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Briciole di pane che sono binari

Se notate segnali anche all’apparenza stupidi, non ignorateli, non fate finta di niente.
Questo è un appello non solo per genitori,  nonni, amici; è rivolto a  tutti.
Basta lasciarli da soli, svariati case study hanno portato sin troppo spesso a rilevare abusi.
Abusi intesi “anche” come body shaming, cyber bullismo chi più ne ha più ne metta!
In questo periodo pandemico dove i nativi digitali sono esposti ancora di più a tutto questo , è necessario porre il massimo dell’attenzione.
Non demonizzate i social, siamo noi la nostra generazione ad avere iniziato a fotografare il piatto di pasta, il cocktail, a fare i primi selfie!
NON facciamo in modo che i Millennial  non possano essere accompagnata nell’utilizzo della tecnologia.

Case study, la fine

Case Study, lei contro il mondo intero

Case study, la fine forse

Non racconterò la fine qui, su digitalSWAT  di questo case study.
Se interesserà a qualcuno approfondirò, metodo e realizzazione dell’aiuto prodotto, sul mio blog.
Perché?
Per la semplice ragione, che siamo un gruppo di persone che vogliono dare aiuto, e che il mero leggere per te, e la scrittura per me, non sia solo “una perdita di tempo”

Noi ci siamo, io ci sono se serve aiuto. Una piccola goccia, fa un grande mare di sapere, non ho idea se sia una citazione degna di nota, ma mi piaceva come chiusura!

 

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