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A Facebook non interessa combattere l’odio

25 Dicembre 2020 - Distorsioni digitali

[Reading Time: 4 minutes]

Personalmente io no, anzi vedo ogni giorno un lento e inesorabile peggioramento della situazione, soprattutto sui social media ma anche il resto del web non è messo bene. In questo post vi dico come la penso ma non parlerò di software, programmazione o algoritmi. Vi dirò solo perché penso che a nessuna piattaforma interessa davvero questa guerra etica.

Perché ai social media non interessa limitare bufale e odio?

Le piattaforme di social media vivono di contenuti, condivisioni, commenti e reazioni dei propri utenti, ogni giorno che passa vedono tutto questo affievolirsi, mentre nascono e crescono concorrenti che erodono fette di mercato. Contestualmente sanno bene quali sono le cose che generano, appunto, più condivisioni, commenti e reazioni: l’odio, le fake news, le polemiche e gli argomenti divisivi.

Nel corso degli ultimi anni ci hanno raccontato di:

  • nuovi metodi di contrasto alle fake news
  • semplificazione dei processi di segnalazione di bufale
  • magiche icone che segnalano che il post è dubbio
  • algoritmi in grado di scovare i post complottistici
  • guerra ai link di siti di bugie
  • chiusura pagine di odio e bufale
  • limiti alla possibilità d’inoltrare catene di pseudoscienza

Tutto questo continua a intasare le nostre bacheche. E il motivo di tutto questo è semplice: il traffico. Proprio così, il traffico, che è il motore che rende monetizzabile una piattaforma, per questo motivo è impensabile che le piattaforme danneggino loro stesse, limitando queste grosse fonti di traffico. Oltre al traffico poi, c’è il tempo che passiamo dentro ai loro siti, infatti il Santo Graal è proprio il tempo di utilizzo.

Più tempo passiamo su una piattaforma, più pubblicità potremo guardare, più click faremo sulle inserzioni, più la piattaforma venderà spazi pubblicitari, più i clienti spenderanno, generando sempre più introiti per la piattaforma stessa. Ed è normale, non sono enti di beneficenza, ma aziende che devono generare profitto, giustamente.

 

Ecco il motivo in una semplice riga:

Più traffico > Più tempo > Più pubblicità > Più soldi.

Perché i motori di ricerca non combattono i siti di bufale?

Anche sul versante dei siti web e dei motori di ricerca la musica non cambia, sono infatti sempre di più i “siti di news” e blog dedicati alle fake news, alle bufale e alla riscrittura della realtà deformata, se non addirittura di notizie completamente inventate.

Il format è sempre lo stesso, titolo acchiappa click, foto di copertina che attrae e indigna, primo capoverso che usa le parole giuste per stuzzicare il cervello e farci reagire con sdegno e, spesso, con click spasmodici da bava alla bocca per scoprire la “notizia del secolo” che nessuno ci vuole dire.

Ma soprattutto, di sicuro lo avete notato, sono siti pieni zeppi di banner pubblicitari, popup, popunder, slide, box e link di tutti i tipi. E se guardate bene i banner, sono spesso strampalati e con argomenti stravaganti come metodi per far soldi dormendo, dimagrire in 24 ore, eliminare brufoli dal sedere, comprare auto a 15 euro e via discorrendo.

Anche in questo caso abbiamo assistito a favolosi proclami che promettevano di:

  • eliminare i siti di bufale dai risultati
  • demonetizzare i siti di fake news
  • sospendere la fornitura di banner
  • creare algoritmi per filtrare i complottisti
  • segnare con un avviso le fonti sospette

E anche in questo caso i siti sono ancora lì nei risultati, i banner sono ancora lì e tutto continua liberamente a proliferare senza sosta. In questo caso il motivo è, se possibile, ancora più semplice: i siti di bufale ricevono moltissimo traffico dai motori di ricerca, che spesso e volentieri sono gli stessi che forniscono loro i banner con cui guadagnare soldi, quindi più persone mandano al sito, più banner vengono visualizzati, più click sulle pubblicità ricevono e più soldi incassa il motore di cui sopra.

È davvero pensabile che una azienda tagli le gambe a una delle fonti che gli genera più fatturato? Anche in questo caso non parliamo di associazioni benevole ma di aziende sul mercato che hanno come giusto obiettivo l’aumento costante di fatturato e la garanzia di fare tutto il possibile per dare grossi dividendi agli investitori.

 

Ecco il motivo in una semplice riga:

Più ricerche > più traffico ai siti > più pubblicità > più soldi.

Perché odio, bufale e complotti rendono tanti soldi?

Il motivo, secondo me, per cui le emozioni negative, l’odio, le bugie e i complotti generano un business così vasto è da ricercare nella propensione delle persone meno acculturate e meno esperte nel cliccare sui banner e sulla pubblicità. Lo si può evincere dal successo dei post di tipo “scrivi rosso per provare a vincere questa Mercedes che ci è rimasta in magazzino”: decine di migliaia di commenti con scritto rosso.

Mediamente una persona poco acculturata o incapace di senso critico (anche solo per semplice noia) è più portata a cliccare banner pubblicitari. Una persona che magari si è buttata sui social da poco quando prima non sapeva nemmeno accendere un computer, più facilmente viene attratta da banner sempre più furbi e al limite dell’etica.

Stesso ragionamento per i meno esperti, difficilmente un banner d’informatica sarà cliccato “per sbaglio” su un sito d’informatica, perché gli utenti di quel sito sono più smaliziati e cliccano solo nelle cose che gli interessano, sapendo capire quando una pubblicità è ingannevole. Invece un neofita è attratto da tutto quanto ha il sapore di una scorciatoia, di una furbata, di una promessa di guadagno facile.

Questo secondo me è il motivo per cui i contenuti di odio, bufale e complotti attirano così tanto, meno ci si dedica alla propria cultura e più si tende a voler leggere solo contenuti aderenti alle proprie convinzioni, se poi sono anche studiati ad arte per stimolare la parte più remota delle nostre emozioni più buie, il tranello è pronto (e l’incasso pure).

 

Tutti i diritti riservati. Opera letteraria protetta da certificato di deposito Patamu N. 134177.

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