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Stavi solo navigando in rete

16 Marzo 2021 - Internet
Tagliata, glitchata, deformata, distrutta.
[Reading Time: 10 minutes]

Stammi dietro e concentrati,
non per troppo eh, diciamo 9 minuti e 42 secondi.

Provaci!
La tua attenzione, ne sono certo al 99,58% (*), sarà premiata con qualcosa che non conosci, ancora.

Apri quel browser!

Apri il browser, questa è facile, è quell’icona che si chiama Chrome (usato dal 63,6% dei viandanti del web), Safari (19,1%), Firefox (3,7%), Edge (3,4%), Samsung Internet (3,3%), Opera (2,2%), Internet Explorer (0,8%) o ha qualche altro più o meno esotico nome che, se lo usi, già sai cosa fa (altri: 3,9%).

La fonte, fra le varie, è https://gs.statcounter.com/ (Febbraio 2021), i numeri cambiano, anche troppo, a seconda di chi conta e quando lo fa.

Ora, tu hai cliccato, o pigiato, insomma hai lanciato il programma del browser ma già un sacco di cose sono successe sul tuo smart phone (questi allegri mattoncini che 15 anni fa non esistevano fanno il 54,46% delle richieste sul web), il tuo computer (42,62%) o il tablet (2.91%).

(Triste nota personale: Sarà pure vero che lavoro su Internet da fin troppo tempo, ma non ci ho mai veramente capito molto: le prime volte che si parlava di Mobile First facevo lo scettico e pure con l’aria di chi la sa lunga)

Un sacco di cose quindi, a partire da quel flusso di elettroni che anima e pervade ogni circuito del nostro caro elaboratore elettronico personale, che, per brevità, da ora in poi chiameremo Coso.

Coso

Solo tu, forse, sai se il Coso che sta eseguendo il tuo browser è il cellulare o il tablet che hai in mano, il tuo portatile, il computer fisso che hai sotto la scrivania o magari, visto che sei in smart working, il server VDI in chissà quale data center sul pianeta (ti auguro non quello di OVH a Strasburgo, di questi tempi non è un posto server friendly) dove una effimera macchina virtuale mostra il suo desktop sul tuo monitor.

Ovunque sia, qualunque cosa sia, una danza di elettroni frenetica, incessante, caotica e silenziosa al ritmo di qualche miliardo di battiti al secondo anima senza sosta ogni parte di Coso.

Gli da vita e lo mantiene, lo alimenta e sostiene.

A partire dal primo momento in cui è stato acceso, quando è stato imbottito di arcani codici scritti prevalentemente con un linguaggio che si chiama C (si, solo C, senza plus, e forse lo capisci veramente solo se hai un cognome come Thompson, Ritchie o Torvalds) a loro volta trasformati, compilati in linguaggio macchina: una sequenza ancor più impenetrabile di numeri binari che riempe e pervade ogni organo di Coso, solo a lui intelligibile, solo a lui, e ai suoi simili, riservata.

Ora, cosa esattamente succede dal momento in cui lo accendi, è difficile da spiegare, sopratutto se chi te lo spiega non l’ha mai capito veramente.

E’ come un piccolo Big Bang, e avviene a diversi livelli, su diverse scale e su mondi diversi: fisico, digitale, virtuale e ci aggiungo pure metafisico, anche se non è vero.

Inizia sempre tutto da elettroni che si inerpicano fra transistor, presenti a miliardi nei microprocessori del tuo Coso, si incanalano in bus ad alta velocità, attivano celle di memoria su substrati silicei, coinvolgono schede, periferiche e ammennicoli vari tutti alimentati all’unisono in una furibonda danza molecolare che compone la coreografia digitale dove Tutto Quanto avviene.

Su questo hardware, che quantomeno si può toccare, si stratificano livelli di software decisamente più intangibili, impalpabili ed effimeri, per quanto, in qualche modo, più facili da identificare e definire.

Pezzo dopo pezzo, componente dopo componente, prima il kernel con i suoi moduli, poi i processi di sistema, i servizi aggiuntivi e il bloatware con cui hai infestato il tuo computer, in pochi secondi come un castello di Lego in time lapse, il Sistema Operativo (SO o OS a seconda di quanto ti senti anglofilo) viene costruito e caricato su Coso.

Di solito questa tumultuosa, incredibile, complessa ma riproducibile, stratificata e sontuosa procedura di avviamento finisce con un jingle rassicurante, ben riconoscibile ma tutt’altro che epico.

Ma tant’è, ormai siamo cosi’ assuefatti a tutto che non ci stupiamo più, nemmeno di fronte alla Meraviglia del Boot di un Sistema Operativo, anche se poi, in fondo, si palesa spesso con una anonima barra di caricamento.

Ora, alla tua età dovrebbero averti già spiegato come nascono i computer, la differenza fra Hardware e Software, e magari ti hanno pure pudicamente accennato ai Sistemi Operativi, e al Kernel, il nucleo, quel grumo denso dei suddetti codici che, molto grossolanamente e in ordine sparso, si preoccupa di:
– capire cosa fare quando clicchi, schiacci o digiti a cazzo come se non ci fosse un domani (interfaccia utente)
– mettere ordine e decidere chi ha priorità fra le decine, spesso centinaia, di programmi che stanno in esecuzione sul Coso, anche se non li vedi (gestione processi)
– spostare continuamente miliardi di bit fra memorie di diverse consistenze e velocità (gestione memoria)
– gestire la comunicazione con interfacce di rete, tastiere, schermi, dischi fissi, microfoni, videocamere, CDROM (haha) e periferiche varie (gestione input/output)
– dare un senso e un posto nell’universo, quantomeno il suo, dei file e delle cartelle che crei con tanta leggerezza (gestione file system)
– evitare che ciascuno dei suddetti componenti non faccia cose brutte che non dovrebbe fare e faccia saltare tutta la baracca (sistemi di protezione: non fanno il loro dovere quando il tuo Coso si schianta (o va in Guru meditation, chi può intendere intenda, gli altri rincorrano pure le loro bombette))

Se hai qualche dubbio su quanto sia rigorosa questa lista non ti biasimo, puoi approfondire a livello “mio cugino” con articolo di un ghost di Aranzulla, o farti del male studiandoti Tanenbaum a fondo. Nel mezzo, fra questi estremi, comunque rispettabili, la rete ha tutte le risposte, anche alle domande che non ti fai.

Ora, sappiamo TUTTI, vero, che i sistemi operativi più diffusi sui Personal Computer sono Windows (75,9%), MacOS (16,7%), ChromeOS (2%) e Linux (2%, sempre in attesa del suo anno sul Desktop).

Allo stesso tempo sappiamo che, su Smart Phone e Tablet, i Sistemi Operativi Android (71,9%) e iOS (27,3%) la fanno da padroni.

Ma cosa succede dall’altra parte della barricata?

La Grande Rete

Chi, cosa risponde quando scrivo www.qualcosa.com nella barra degli indirizzi del mio browser?

Che domanda fuori dal tempo.

Ormai nessuno digita più il nome di un sito su un browser.

Di solito ci troviamo nella nostra home page, con il Google, il Facebook o il Preferito del caso e da li è il solito ozioso, subliminale, nervoso, curioso e pavloviano clicchettio di link, immagini e video che ci fanno naufragare in questo mare, dove pure, ormai, la metafora del navigatore appare desueta e stantia.

Chi naviga più nel web oggi?

Tutto è un’app.

Al limite distribuiamo e ci cospargiamo di like e cuoricini: le nostre microdosi di egostimolazione quotidiana, fra un’icona e l’altra.

Ma torniamo in noi, torniamo al nostro ardito digitare di un URL quantomeno quale punto fermo e indice chiaro di un tempo zero, anche se lo stesso può valere per ogni link in ogni dove.

Ho. Detto. U. R. L.
Si può dire?
Voglio dire, così… impunemente?
Te l’hanno spiegato i tuoi, col dovuto tatto?
Vero che sai che sta per Uniform Resource Locator, in breve un indirizzo web, univoco, a cui ci possiamo collegare con un browser, che ha uno schema fisso e ben riconoscibile, nella sua forma minima è composto dal protocollo da usare, tipicamente l’Hypertext Transfer Protocol (HTTP) e l’host a cui collegarsi, (tipo https://www.qualcosa,com), dove la S di HTTP sta per Secure e indica che il traffico fra il browser e l’host viene cifrato.

Ora, a dirla tutta, il vero problema qui è cosa vogliamo intendere per host, nella Internet del 2021, ma ci arriviamo a breve, forse.

Rinuncio a far finta di provare a spiegare cosa si intende per protocollo, host e cifrature, tanto hai capito che qui non si vuole spiegare nulla ma, al limite, sfoggiare eloquentia et sapientia.

Digitiamo dunque l’URL di un sito a caso, ad esempio www.digitalswat.org (il protocollo http(s) è implicito), premiamo invio, e… beh te lo puoi immaginare, vedi giusto un sito.

Questo sito.

Magari ci mette un po’ a caricare, magari ti chiede pure il permesso di essere visto, o quantomeno quanti cookie farti mangiare, soprattutto se è la prima volta che lo fai, ma dopo alcuni secondi ti compare la bella paginetta web di DGTSWT, stile Cyberpunk reloaded, a metà fra Decoder e Instagram.

Se sei impaziente, ti lamenti se non vedi tutto dopo pochi secondi.

Ingrato.

Prendi quello che ci siamo detti prima: la vorticosa danza degli elettroni che determina e costruisce un sistema operativo, la Meraviglia elettronica e digitale del boot, il castello di Lego ecc ecc, beh, quello è solo l’inizio, diciamo sono i prerequisiti per permettere quello che accade dopo.
Dal momento in cui hai inviato la tua richiesta, dietro il cofano del tuo povero browser si è scatenata una incredibile sciarada elettronica, digitale e fotonica di estensione planetaria che dopo cinque lustri di studi matti e disperatissimi ancora a malapena riesco ad afferrare e concepire nella sua interezza.

Confuso, ammaliato, affascinato come un bambino di fronte ad un quadro di Kandinsky intravedo appena i contorni, i confini e le implicazioni di quello che parte dalla mia innocente richiesta e da Coso si dirama al mondo e da li rimbalza e torna indietro, seguendo rivoli, rotte, cavi e dorsali che come enormi dendriti permeano l’intero pianeta.

Inizia tutto con una query DNS: a Coso, insensibile, non importa nulla di www.digitalswat.org, gli serve sapere l’indirizzo IP a cui corrisponde quel nome di host. A chi chiede? Al suo server DNS, che può essere ovunque in rete, ma di solito è quello del nostro provider Internet. Dove sta? Dipende, ovviamente, ma possiamo presumere che sia a qualche decina di chilometri da casa nostra.

Il server DNS del provider, a meno qualcuno non glielo abbia già chiesto negli ultimi 299 secondi, non sa dove trovare www.digitalswat.org, e non sa nemmeno a chi chiederlo direttamente.

Per cui lo chiede ai Signori del Domain Name System (DNS) i portentosi Root Servers: sono 13 host, ma in realtà dietro ci sono più di 750 server sparsi per il mondo, che tutto sanno e tutto delegano.

Questo è tutto e solo quello che sanno: quali sono i server DNS autoritativi per ogni dominio di primo livello.

I Root server quindi rimbalzano la richiesta del server DNS del nostro provider e lo dirottano ai Server autoritativi per i domini .org, questi, a loro volta interrogati, gli diranno di chiedere ai Server Autoritativi per il dominio digitalswat.org, e questi, finalmente potranno dire qual è l’indirizzo IP dell’host www.digitalswat.org, che infine, diligentemente, dopo aver chiesto a mezzo mondo, il server DNS del nostro provider farà sapere a Coso.

Bene, ora Coso sa a chi chiedere, utilizzando il protocollo HTTP, il contenuto della pagina HTML (Hyper Text Markup Document, il linguaggio usato per creare pagine Web) della home di www.digitalswat.org. E’ già qualcosa.

La richiesta attraversa gli stessi mezzi fisici che ha attraversato l’iniziare richiesta DNS: l’aria di casa nostra (se siamo in Wifi), poi dal nostro router, tramite il doppino in rame fino all’armadio di strada (se hai la fibra ottica in casa tanto meglio, invece di viaggiare elettroni su un metallo, viaggiano fotoni sulla fibra ottica). Dall’armadio in strada, con un cavo in fibra ottica fino alla centrale Telecom, più vicina. Sono delle palazzine più o meno grandi, dove sono ospitati anche gli apparati di altri operatori, e ce ne sono circa 10.500 in Italia.

Queste centrali, tramite robusti fasci di fibre ottiche, si connettono e convergono verso altre strutture sempre più centrali e verso i datacenter degli altri operatori, fra router e apparati di rete che filtrano, incanalano, indirizzano, smistano.

A proposito, le mappe dell’AgCom sulla copertura a banda larga delle reti fisse e mobili sono la cosa più interessante che hai scoperto oggi.

Prego.

Per velocizzare il traffico e accorciare le rotte, le reti di diversi operatori si incontrano in alcuni Punti di Interscambio (Internet Exchange Point, IXP), in Italia ce ne sono una decina, nel mondo più di 800, per questi passa gran parte del traffico Internet globale. Per avere un’idea dei volumi, puoi guardare le statistiche di traffico del Mix, il primo e più popolare IXP italiano.

La pagina HTML della Home di www.digitalswat.org è di circa 22kB, quindi più di ventimila caratteri, questa viene frammentata e inviata in tanti pacchetti, che normalmente hanno dimensione di 1500 byte, quindi per “ricostruire” l’intero contenuto di quel file sono arrivati 15-20 diversi pacchetti di dati dall’host www.digitalswat.org.
Questo host potrebbe essere ovunque nel mondo (in realtà è probabilmente da qualche parte in Europa) e, inoltre, è servito da Cloudflare, un Content Delivery Network (CDN) che fa da cache e filtro per le richieste al sito: di fatto quando vediamo questo sito chi ci sta rispondendo non è nemmeno il server dove stanno i suoi file.

Insomma, per scaricare il file html della home page del nostro caro sito, una ventina di pacchetti hanno girato, se non il mondo, almeno mezza Italia e forse Europa.

La pagina web non è (solo) l’HTML

Ma non finisce qui.
L’HTML dell’URL che indichiamo è solo un documento di testo pieno di collegamento ad altri file: immagini, fogli di stile, codice Javascript, font, file json, file audio…

Quanto abbiamo visto sopra per la richiesta di un file HTML (la rumba degli elettroni nel Coso, la richiesta DNS, la richiesta e lo scaricamento del file, spezzettato in decine o centinaia di pacchetti su protocolli stratificati ecc) avviene parecchie altre volte ogni volta che guardi una pagina di sito.
In questo caso 449 volte per un totale di 22 MByte di dati, che si può ipotizzare essere stati consegnati tramite 15-20 mila pacchetti diversi.
Pacchetti trasportati in rete, dal nostro Router, all’armadio, alle centrali, agli IXP, ai datacenter, quindi in giro per il mondo a collegarsi non solo allo stesso host WordPress di www.digitalswat.org ma anche a svariati altri, come quelli di  MixCloud, Google, YouTube, YTimg, Iubenda…
Credevi veramente che Coso avesse parlato solo con un singolo host remoto ?
E questo è pure un sito relativamente poco promiscuo.

Non solo, dietro ogni host contattato per ognuno dei file linkati nella pagina Html del sito, possiamo essere ragionevolmente confidenti che non ci sia un unico e solo server remoto a rispondere.

E’ altamente probabile che, anzi, la risposta che otteniamo stia arrivando da uno fra molti diversi “computer” remoti, abilmente alternati da un apparato di rete chiamato Load Balancer.

Di più, è molto probabile che il Sistema Operativo che sta rispondendo non sia direttamente installato su un computer fisico, ma sia su una Macchina Virtuale, un’istanza totalmente software e ormai disaccoppiata da un singolo hardware in un qualche Cloud provider.

Di più, è sempre più comune che le risposte che riceviamo arrivino da uno sciame di processi isolati (container) che vengono creati e distrutti continuamente, orchestrati da uno strato software che opera su un cluster (gruppo di cose che concorre ad un unico scopo) di macchine virtuali o fisiche.

Di più, per generare molte delle richieste che facciamo, diversi computer (o variazioni dei suddetti soggetti) possono concorrere a “costruire” il dato o il file richiesti.

Tutto questo, e molto di più, avviene sempre,
continuamente,
incessantemente,
inesorabilmente
per permettere a me, te, a tutti,
di vedere quello che vediamo sul browser,
gattini inclusi.

Gran Finale. Rinviato.

Noto con finta sorpresa che stiamo raggiungendo la fine del post e mi sembra il momento di fare una confessione.

Questo articolo in realtà voleva basarsi su tutti i punti e in modi con cui, in questo mirabolante itinerare di pacchetti di dati, qualcuno possa intercettare e “vedere” dove stai navigando.

A diversi livelli e in modo più o meno sfacciatamente evidente.

Insomma, fra la tua tastiera e il tuo schermo, o fra il tuo indice e i tuoi occhi, chi, cosa e come può mettersi in mezzo?

Chi può indirettamente capire cose guardi?

Chi ti spia?

Nessuno.
A nessuno interessa qualcosa di te, come singola persona.

Ma possono interessare il tuo tempo, il tuo voto e il tuo portafoglio.

E ci sono tanti modi per ottenerli.

Evidentemente mi sono perso in frivoli rivoli, svagate divagazioni, barocchi tarocchi e ho tralasciato il sunto del punto.

Temo questo sarà materiale per un altro articolo della serie.
Potrebbe diventare una telenovela.

(*) Complimenti!

Fai parte del 0,42% che già sapeva tutto quanto è stato scritto qui sopra. Grazie comunque per la pazienza e l’attenzione.
Hai sprecato 582 secondi della tua vita… 583, 584, 585…
Pensa a respirare pure per 15 secondi e facciamo cifra tonda.
Come ben sai, basta aprire Impostazioni > Tempo di utilizzo sul tuo Iphone, o Impostazioni > Gestione digitale > Altro sul tuo Android per vedere in quali altri meravigliosi modi consumi i tuoi secondi di fronte ad uno schermo che non riuscirai mai a leggere a schiena dritta.
Poteva andare peggio?

Immagine tratta da un’opera di tatlin (brutalmente tagliata, glitchata e deformata).

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