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Finchè la barca va… tu non remare!

5 Aprile 2025 - Umanità e società
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I social network si stanno sempre più allontanando dal loro ruolo di rete sociale, diventando allo stesso tempo fucina di venditori porta a porta del terzo millennio (chiamarli influencer fa più figo), covo di molestatori seriali (nascosti dietro bot o profili fake) e luogo di sfogo delle peggiori frustrazioni del genere umano. Qualcuno prova a metterci una pezza? No, perché va bene così!

Inutile premessa

Con i social network che stanno allegramente andando alla deriva, i contenuti interessanti sono passati sempre più in secondo piano, lasciando il posto ad una serie di materiale totalmente senza senso, falso, molesto, che addirittura tende a ledere la sensibilità di alcune persone. I contenuti che rappresentano violenza fisica e verbale, che i proprietari della piattaforma dicono di combattere per etica, vengono skippati delle AI che dovrebbero essere addestrate a ricevere ed elaborare le segnalazioni, con la conseguenza che chi cerca di fare le cose per bene viene bannato a vita, mentre il materiale sensibile resta in bella vista e continua a girare a suon di click.

In pratica, se scrivi un post ironico con un errore di battitura, il sistema ti censura seduta stante. Se invece fai un contenuto che istiga all’odio e alla violenza, l’algoritmo ti saluta con un buffetto sulla guancia e ti spinge pure in home. Ottimo lavoro!

Per non parlare dell’advertising: quando i padroni di casa avevano in mano i nostri dati personali ci mostravano qualcosa di più inerente ai nostri interessi, ora che i paladini della privacy hanno fatto finalmente piazza pulita, le piattaforme continuano a navigare a vista: per la maggior parte del tempo vengono mostrate quelle odiose sponsorizzate che promettono miracoli e guadagni facili, abitini su marketplace cinesi, investimenti in crypto e tante altre menate a pertinenza zero!

Ed è qui che si tocca il fondo: passi per i vestiti tarocchi che almeno fanno ridere con le loro traduzioni improbabili, ma chi può ancora cascare nella trappola delle “rendite passive” con due click? Evidentemente tanti, visto che continuano a spuntare come funghi!

Fantastico, no?

Umani o bestie?

Al di là delle varie teorie scientifiche, negazioniste, terrapiattiste, rettiliane, e chi più ne ha più ne metta, noi uomini prima di sviluppare la coscienza eravamo animali, e in quanto tali difendevamo il territorio combattendo per la supremazia. Il più forte vinceva.

Andate a leggervi i commenti sui social: da allora è cambiato qualcosa? Solo i mezzi a disposizione, ma per il resto è sempre la solita lotta per prevaricare l’altro, avere ragione, vincere il mongolino d’oro… Basta un post minimamente ambiguo e partono guerre fratricide degne di un’epopea mitologica. Gente che si insulta, che minaccia, che argomenta con la stessa profondità di una pozzanghera. E poi ci stupiamo se la civiltà è in declino.

Gli algoritmi tendono a fomentare questi comportamenti, puntando su sentimenti divisivi che tendono a formare gruppi di pensiero contrapposti, che generano contenuti, commenti, like, muovono a catena altri contenuti simili. L’odio è il carburante perfetto per i social: più gli utenti si azzuffano, più le piattaforme guadagnano.

La gallina dalle uova d’oro

Chi guadagna da tutto ciò? Coloro a cui abbiamo regalato i nostri dati, che continuano a propinarci contenuti pubblicitari tra un post e l’altro, mentre noi ci scanniamo nei commenti in una inutile guerra tra poveri.

Il successo dei contenuti è proporzionale al loro potere di dividere e innescare le folle, in una bolgia di cattiveria e odio che a tratti fa emergere i lati migliori dell’essere umano. Perché il messaggio positivo ha vita breve, mentre la polemica infuocata è immortale? Semplice: l’indignazione vende, il buon senso no. E a farne le spese siamo sempre noi.

Finchè la barca va…

Finché il meccanismo funziona non c’è censura che tenga, anzi i vertici di questi sistemi godono nel vedere che le loro piattaforme sono ferventi e attive, nonostante la mole di cacca fumante che erogano quotidianamente. Più il letame si accumula, più i numeri salgono, e più i numeri salgono, più i brand si convincono a investire nei loro spazi pubblicitari. Non importa quanto tossico sia l’ambiente: se c’è traffico, c’è business. Che poi, alla fine, è l’unica cosa che conta davvero per chi sta ai piani alti.

…tu non remare!

E’ tutto perfetto: l’indignazione genera altra indignazione, il gattino genera cuori e abbracci, le fake news dividono le folle, le news sulle dive al lastrico fomentano i bulli da tastiera: finché c’è movimento, i gestori delle piattaforme gongolano, che interesse hanno nel fermare il giocattolo, finché funziona? Dopotutto “bene o male, purché se ne parli” è un motto ormai alla portata di molti personaggi in cerca di successo.

Le piattaforme in questo caso non muovono un dito, fingono di svuotare il mare un secchio alla volta, come se servisse a qualcosa. Annunci di rivoluzione, di grossi cambiamenti, di nuove funzionalità sensazionali servono solo a riempirsi la bocca per far felici gli investitori, ma alla fine l’algoritmo tra bug di sistema e BOT addestrati male, diventa sempre più un apposito girone dell’inferno dantesco, esulando dal motivo principale per cui i social sono nati, e cioè mettere in contatto le persone.

Ma cosa stiamo diventando?

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