La parola è potente, fatta, unica, puntuale, decisiva, finale. Le parole invece, son fragili, immature, leggere, inesatte e malleabili.
Bisogna aver cura delle parole, perché son come il gregge dalla preziosa lana, che richiede il pastore capace, come il filone d’oro incastrato nella montagna, che richiede sforzi e maestria, per diventare gioiello.
La parola è bambino unico ed irripetibile, pieno di meravigliosa potenza, i bambini sono corale grezza della società che ha bisogno di maestri in grado di curarne l’udito e armonizzarne le voci.
Oggi come sempre, si usano le parole dimenticando la parola, ci si destreggia in scapigliature linguistiche pur di aver ragione, dimenticando l’etica e la verità di ogni parola.
Per fortuna ci sono isole dove la parola impera, dove le parole si annusano e si legano in reti neuronali che profumano di futuro.
Per fortuna, certo, se funzionassero!!! E la colpa non è solo della scuola, che spesso è gestita e/o strutturata da persone non idonee al sogno dei ragazzi, all’amore per la conoscenza, alla verità dell’essere unici in un mondo di numeri. Le colpe sono delle polis che non emergono dalla mediocrità, e di conseguenza lasciano ragazzi pieni di energie ad esaurirsi su divani di marca, macchine ultra, e banchi senza più la scritta “ti amo”.
Bisogna rincorrere la parola, con voglia, passione, duende, bisogna che il genitore, prima del figlio, prima del politico, prima dell’insegnante, si metta a dialogare, gridare, urlare con la parola. Per capirla, scoprirla, amarla.
Si dovrebbe partire dal silenzio, perché:
ma non comunichiamo nulla, perché? Perché usiamo le parole, senza capire la parola. Siamo assuefatti dal bisogno di egogaina e questo ci rende mitra di distruzione di massa cerebrale. Sfondiamo la nostra per poi ammazzare quella sociale.
Basterebbe volersi bene veramente, volersi, amarsi, cercarsi veramente. Basterebbe dirsi ti voglio bene qualche volta in più, invece di regalarsi l’ennesimo telefonino troppo intelligente per telefonare e mandare messaggi mentre si guida.
Basterebbe, e non è un’opinione, leggere “ti amo” su di un banco, su di un quaderno, sulla lavagna della spesa, e sapere che siam stati noi a scriverlo al noi stesso di domani.
Dovremmo piantarla, la parola. S-metterla con la S di shhhh per il silenzio che bisogna fare quando si pianta qualcosa di prezioso, così da dare voce solo al gesto, al momento.
Piantarla in profondità per aiutare le radici ad attecchire al tessuto umano e sociale, una rete di neuroni, bianconi, gialloni, insomma una bandiera di colori arcobaleno in grado di nutrire quella parola, tanto da farla diventare plurale, frase, dialogo, tema, concetto, libro, vita.
Una parola sola può diventare tutto questo, ma visto che la parola, sola, non lo è mai, lasciamo germogliare boschi di frasi fatte e mature, ma anche di qualche frase immatura che ci tiene giovani e sognatori.
“Perché la parola è il disegno dei nostri pensieri.”
Quando la parola dona i suoi frutti, allora bisogna godere del suo nettare, oleoso, per galleggiare su mari morti e oceani di egoismo. Profumato, per rimanere nelle narici di chi respira la vita, dal sapore indefinito, per tenere sempre la fame attiva. Fame di altro, di nuovo, di magico, di essenziale.
Piantiamola la parola, negli occhi, nei sensi tutti, ed in tutti i sensi unici, come unico siamo io che scrivo e te che leggi. Diamoci del te, non del tu, del te, magari con qualche biscottino, ma non solo alle cinque, ad ogni ora del giorno e della notte.
Diamoci parole da piantare dentro, in fondo, perché fuori c’è un freddo poco umano, mettiamola al riparo, al caldo del cuore, e lasciamo che ci facciano fiorire il cuore e l’anima, così da essere sicuri che un giorno, quando sarà il momento, fioriremo… In un oceano di bellezza.
Max Spera, artista prestato alla comunicazione, autore di favole impegnato nella meravigliosa battaglia dell’eliminare la mafia sociale attraverso la bellezza dei sogni e la consapevolezza delle proprie emozioni. [SCHEDA COMPLETA AUTORE]
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