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Pecunia non olet

13 Giugno 2023 - Distorsioni digitali

[Reading Time: 5 minutes]

Secondo l’aneddoto tramandato da Svetonio, storico e biografo romano dell’età imperiale, il detto latino “pecunia non olet” (che significa letteralmente “il denaro non puzza”) sarebbe stato pronunciato per la prima volta dall’imperatore Vespasiano, che nel primo secolo d.C. introdusse un’imposta sull’utilizzo delle latrine pubbliche per riempire le casse pubbliche e finanziare la costruzione del Colosseo.

Suo figlio Tito, in disaccordo con una tassa così assurda, pare abbia lanciato, in segno di sfida, una manciata di monete nella latrina. Il padre senza fare una piega le raccolse, le avvicinò al suo naso e dopo averle annusate pronunciò la famosa frase.

L’origine di questo detto risale all’epoca dell’antica Roma, ed è un modo di dire talmente intriso di significato che si usa ancora ai giorni nostri. Serve in qualche modo per giustificare il fatto che il denaro, qualsiasi sia la sua provenienza, è sempre e solo denaro. Come direbbero tra i grattacieli di Milano: “business is business”!

La finta etica di Meta

Fino a qualche anno fa i social erano un posto tranquillo dove incontrare persone che non vedevi dai tempi del liceo, farti un po’ dei fatti degli altri e scoprire nuove aziende attraverso dei post sponsorizzati.

Dall’altro lato gli imprenditori, in autonomia o attraverso i social media manager, erano felici di investire in advertising perché riuscivano a raggiungere facilmente il loro pubblico e trarre vantaggi dai risultati ottenuti. Tutto piuttosto semplice e lineare.

Da qualche anno non è più così: complici le stringenti imposizioni sulla privacy dettate dall’Europa e i vari tentativi di Zuckerberg di recuperare le perdite economiche, i social del gruppo Meta (soprattutto Facebook e Instagram) sono diventati una latrina pubblica (volendo riprendere l’introduzione di questo articolo), dove ormai regnano il caos e il disordine.

Meta da parte sua annuncia spesso di voler combattere, attraverso stringenti controlli, tutti quegli atteggiamenti “sbagliati” come lo spam, la violenza verbale, il materiale audiovisivo non conforme alla legge e tante altre nicchie illegali e immorali che circolano in rete. A tale scopo ha addestrato una serie di BOT che affiancano il lavoro degli umani, apprendendo di volta in volta dalle varie scelte fatte dagli operatori preposti al controllo delle segnalazioni.

Ma qualcosa deve essere andato storto, perché una volta fatto “ciaone con la manina” ai poveri dipendenti sottopagati, i BOT hanno iniziato a fare di testa loro, per cui è facile trovare in giro soltanto materiale divisivo, truffaldino o che genera polveroni e permette alla gente di azzuffarsi e insultarsi senza un motivo.

Obiettivo engagement

Nel quartier generale di Menlo Park mi immagino che le riunioni dei vertici siano andate più o meno così:
– “Uè raga, visto che l’Europa non ci fa tracciare gli utenti per potergli fornire sponsorizzate targetizzate in maniera precisa, come alziamo il grano?”
E qualcuno in sala avrà risposto:
– “Facciamoli azzuffare tra loro, così si creerà un vortice di reaction che andranno ad alzare il counter sotto i post sponsorizzati, e gli investitori saranno felici”.
Quindi ormai quello che circola sul social blu è una massa di materiale informe, volutamente falso, con titoli fuorvianti e acchiappaclick, dove sotto nei commenti c’è gente mediamente (o scarsamente) scolarizzata che si atteggia come esperta pur di avere l’ultima parola in temi fuori dal suo ambito di competenza, per una mera questione di principio. Un siparietto angosciante, che a tratti sembra studiato a tavolino per tirar fuori il peggio dell’essere umano nei più reconditi istinti di dominare il branco.

E così gli investitori seri, cioè aziende che vogliono crescere e presentare al mondo i loro prodotti, si scoraggiano, vedendo i loro contenuti dati in pasto a persone di cui non gli frega nulla. Anzi, molte volte tutto il lavoro per la preparazione degli adv sfocia in una serie di critiche immotivate, colpa del target sbagliato che si scaglia con gli artigli affilati pur di screditare a prescindere il messaggio pubblicitario.

Del resto, se alla casalinga di Voghera fai apparire la sponsorizzata dell’auto elettrica da 90mila euro, quella è normale che parte in quinta contro la globalizzazione iniziando a negare i cambiamenti climatici e menate varie.

Stesso discorso se al camionista di Acerra gli mostri il burger vegetale di Soia o il corso di Project Management, l’effetto scatenante è lo stesso.

Meta for business: il circo delle sponsorizzate mangiasoldi

E qui arriva il bello: se un carrozzone così ingombrante e malfunzionante deve salvarsi il culo e incassare soldi a più non posso, e le aziende serie hanno ormai perso fiducia e non investono più nell’advertising, come si fa?

Semplice: apriamo a cani e porci, finché pagano chiudiamo un occhio sul contenuto, anzi anche entrambi, che è meglio!

Sempre più spesso infatti ci troviamo, nel nostro feed, di fronte a dei prodotti o servizi totalmente a forma di truffa, ripetitivi e molesti, che a volte assumono le sembianze dello stesso padrone di casa, senza che esso prenda provvedimenti per espellere questi manigoldi a calci nel sedere.

E non importa quanto tempo perdi a segnalare l’inutilità di quei contenuti come “spam” o “non rilevante” pensando di risolvere il problema, perché è allora che cadi nella trappola! Facebook, con i suoi inutili BOT che non capiscono un cazzo, invece di filtrare gli annunci indesiderati, sembra che si diverta a mandarti una valanga di merda a profusione, proponendoti contenuiti tutti uguali, scelti con una precisione quasi sconcertante. Anzi, occhio perché piuttosto ti becchi un bello strike o uno shadowban.

Mica vuoi remare contro la macchina mangiasoldi che regge il Sistema? Eh, non si fa!

Ma non finisce qui. Immagina di essere un’azienda che investe fior di quattrini in una campagna pubblicitaria su Facebook, sperando di raggiungere un pubblico mirato che possa apprezzare il nostro contenuto. Pensi che il tuo investimento possa avere un ritorno in clienti, ma invece finisci per essere raggirato dalle statistiche gonfiate di Facebook. Ti promettono un pubblico di qualità, ma ti ritrovi con visualizzazioni che sembrano provenire da profili falsi appena creati, e non solo non vendi un cazzo, ma devi anche accollarti l’onere di ripulire la tua reputazione da commenti fuori luogo e recensioni negative totalmente false. Dai ragazzi, ma di cosa stiamo parlando?

Miei cari bot pakistani andate e moltiplicatevi

Immagina di essere il titolare di un negozio: ti farebbe piacere se qualcuno, spacciandosi per te, venga tra gli scaffali a vendere merce contraffatta ad ignari clienti?

E certo che non ti farebbe piacere!

Ma se il tizio in questione ti proponesse di dividere i ricavi di un business abbastanza redditizio, tu faresti un’eccezione?

Dipende.

Ecco, in quel caso entra in gioco l’etica professionale, materia per cui Meta sembra non preoccuparsene più di tanto, visto che permette a pagine a sua immagine e somiglianza (allego immagini) di agire indisturbate a truffare clienti con stratagemmi stupidi ma in cui molti cascano a piè pari.

E il padrone di casa cosa fa? Niente!!! Finché entra il cash perché segnalare questi comportamenti scorretti? Sticazzi!

Negli ultimi giorni nel feed di alcuni utenti sono apparse delle sponsorizzate “strane”, che sembrano a tutti gli effetti dei post fatti da Meta per promuovere un nuovo strumento di marketing per gestire le pagine business. E invece, indagando, si tratta di pagine straniere con anche milioni di like (immagino quasi tutti finti), che si fingono di essere quello che non sono pur di attirare gli inserzionisti a visitare il loro sito per acquistare l’abbonamento al loro fantomatico “Business Manager”. Su un sito di dubbia provenienza, con link non funzionanti (tranne quello per il pagamento, s’intende), e zero riferimenti alla società di appartenenza, assenza totale di termini e condizioni, privacy policy e altre informazioni obbligatorie. Tutto molto sospetto.

Si nota poi, dal whois, che il dominio non è (giustamente) appartenente all’azienda di Zuckerberg, ma probabilmente a privati (solitamente ubicati tra Cina, India e Pakistan) che nascondono i loro dati per tutelare la propria identità. Di solito questi domini durano un anno, poi vengono abbandonati per evitare di essere tracciati e poi subito passare alla nuova truffa.

Provando a segnalare questi post, come già detto, ci si espone ad una serie di contenuti tutti incredibilmente uguali tra loro, che continuano a girovagare indisturbati nella piattaforma nonostante le numerose segnalazioni per spam o truffa.

Ma come abbiamo già detto, finché gira il cash, di cosa ci dobbiamo preoccupare?

Un social migliore è possibile?

Stiamo indubbiamente assistendo ad un momento in cui la perdita di fiducia di utenti e aziende nelle piattaforme di maggior fama (abbiamo parlato di Meta ma anche Twitter e Linkedin non è che siano tanto un paradiso a confronto), porta inevitabilmente alla caduta di alcuni concetti diventati inamovibili, spingendo le persone a cercare le varie alternative.

C’è chi si sposta nel fediverso, chi si ritira a vita privata, chi rispolvera i forum, chi si fida solo della messaggistica istantanea.

Noi invece abbiamo deciso, al momento, di aprire un porto franco su Telegram, dove possiamo seprimerci senza filtri su ogni argomento, senza essere mira di strike e ban ingiustificati in piattaforme ormai al collasso, dove i bot hanno la meglio sugli umani.

Venite a trovarci -> https://t.me/DGTSWT

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