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La Cina è un fottuto black hole di informazioni

20 Settembre 2021 - Internet
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[Reading Time: 6 minutes]

La Cina si appresta inesorabilmente a diventare la prima potenza economica mondiale.

Quel Paese che per decenni è stato visto come lo “schiavo del mondo”, che fornisce manovalanza a basso costo per produrre praticamente qualsiasi oggetto ci passa per le mani, si appresta ad acquisire una certa prepotenza sul mercato, grazie anche ad una strategia di acquisizione passiva delle informazioni che perdura da anni, e che negli ultimi mesi è diventata sempre più pressante.

L’aspetto geopolitico e commerciale

Durante gli ultimi mesi di Governo Trump, USA e Cina combattevano una guerra tecnologica all’ultimo BAN.

Tutto è nato quando gli Stati Uniti hanno accusato Huawei di spionaggio industriale, imponendo un enorme blocco sulle importazioni di hardware prodotto dalla multinazionale asiatica (sopratutto antenne e router 5G) che si è fortemente ripercosso su altri settori dell’indotto, come quello della telefonia, altro settore predominante del colosso cinese.

Dopo le politiche restrittive imposte dal governo americano, Huawei sui suoi smartphone ha avuto un po’ di rogne: dall’eliminazione delle applicazioni di Zuckerberg (Facebook, Instagram e WhatsApp) al blocco dei servizi di “big G” (cosiddetti Google Mobile Services), compreso il Play Store, senza il quale Android non ha quasi senso di esistere.

I nostri cari amici con gli occhi a mandorla hanno incassato il colpo e hanno reagito realizzando un nuovo store proprietario lanciato sui dispositivi della gamma P40, per permettere agli utenti di poter installare applicazioni e APK di terze parti. Hanno anche annunciato la creazione di un sistema operativo proprietario, voce smentita in favore di Android e poi di nuovo confermata con la presentazione di HarmonyOS, lanciato ufficialmente a giugno 2021 e che Huawei punta ad inserire su 300 milioni di dispositivi (smartphone, smartwatch e tablet) entro un anno.

Il BAN, che tra l’altro è stato confermato anche dal neopresidente Biden, di fatto non permette alle aziende statunitensi di poter intrattenere rapporti commerciali con il continente asiatico, per cui da un lato penalizza chi fornisce licenze sull’utilizzo di prodotti e servizi (Google in primis), dall’altro permette ai concorrenti di gioire (Apple, ad esempio).

Tutto questo casino è stato solo un tentativo di bloccare quella voragine di informazioni che è la Cina, che ogni giorno lancia le proprie piattaforme in giro per il globo, ma impedisce al mondo intero di poter penetrare la sua intricata rete interna, murata in ogni direzione dal regime della Repubblica Popolare (che di popolare ha ben poco, ma guai a farglielo notare).

Ma per analizzare meglio la questione andiamo per gradi.

Great Firewall: la grande muraglia digitale

Ogni singolo bit che passa per le reti informatiche (per approfondire, clicca qui) in Cina è smistato da un enorme filtro, chiamato ironicamente “Great Firewall”, in assonanza con la Grande Muraglia, simbolo della antiche civilità orientali.

Tutto il traffico in ingresso e in uscita viene vagliato dal Governo, che permette soltanto l’accesso ai suoi cittadini ad alcuni siti web, tra cui mancano all’appello la maggior parte dei colossi della Silicon Valley. E’ il caso di social network, motori di ricerca, programmi di messaggistica, provider di posta elettronica, siti di streaming, blog, testate giornalistiche internazionali e tanto altro.

Prodotti e servizi forniti dalle BigTech statunitensi sono inaccessibili al 21,96% della popolazione mondiale. Che non è poco!

Un quinto del globo accede ad Internet, strumento nato libero, in maniera del tutto pilotata dai “poteri forti” (è il caso di dirlo).

La censura di uno strumento libero

Il web, nato negli anni 90 per fini scientifici, si è diffuso velocemente per la sua possibilità, tramite una rete informatica in costante espansione, di poter scambiare velocemente dati da una parte all’altra del globo. Uno strumento che ha permesso con gli anni di accelerare i processi di globalizzazione accorciando le distanze tra punti geograficamente lontani tra loro.

In Cina, invece, il web diventa uno strumento di propaganda e di controllo, l’esatto contrario per cui il buon Tim Berners Lee un trentennio fa lo ha reso fruibile al mondo.

Un black hole al centro del continente Asiatico

Da un lato abbiamo un sistema centralizzato che fornisce a un miliardo e mezzo di persone un servizio “azzoppato”, dall’altro lato abbiamo uno Stato che con il suo sistema tentacolare mette le mani ovunque nel mondo.

Gli abbiamo affidato la produzione industriale, hanno in mano i nostri brevetti, il nostro codice open source: producono la tastiera con cui scriviamo, la tazza dal quale beviamo il caffè, la lampadina che illumina la stanza, lo smartphone che ci sta avvisando di una notifica e chissà quali altre cose che nemmeno sappiamo.

E loro cosa fanno? Producono e basta? Manco per il cazzo! Dopo anni a starsene buoni a fare gli schiavi del mondo, hanno iniziato a copiare le eccellenze occidentali e sono diventati indipendenti (con le idee degli altri). E’ il caso di applicazioni e servizi che hanno riscosso un grande successo in Europa e negli USA, come TikTok, AliBaba, Wish, WeChat, le app di Huawei, Xiaomi, Tencent e tanti altri: sistemi che hanno emulato le meccaniche di prodotti e servizi già esistenti, esasperandone quei fattori che hanno garantito la rapida diffusione e l’utilizzo massivo.

E vogliamo parlare dei sistemi interni che hanno creato? Hanno un loro Google (Baidu), un loro Twitter (Sina Weibo), un loro Facebook (Renren) e tanto altro! Tutto meticolosamente riprodotto per far credere alla popolazione di avere piena libertà nei contatti con il mondo, un mondo rinchiuso in un confine geografico ben definito.

La Cina è un black hole di informazioni, assorbe una tale quantità di dati che neanche immaginiamo: come vengono gestiti? Come vengono usati?

Cosa se ne fa la Cina dei nostri dati?

Semplice, quello che fanno tutti: li analizzano per tracciare i nostri comportamenti e cercare di captare le nostre preferenze e i nostri interessi, spingendo l’acceleratore su settori dove il mercato potrebbe muoversi più velocemente. I campi di applicazione sarebbero molteplici: dal marketing allo spionaggio industriale, passando, perchè no, anche per il campo strategico – militare.

Hanno in mano i nostri dati personali, le nostre password, i nostri volti, quei video scemi di pochi secondi, la voce, gli spostamenti, i nostri acquisti, i metodi di pagamento, il monitoraggio dell’attività fisica, la frequenza cardiaca, il ciclo del sonno, il peso corporeo e molto, ma molto altro.

Di recente è emerso che attraverso la commercializzazione di test pre-natali in tutto il mondo, l’azienda BGI Genomics ha raccolto milioni di profili genetici di neonati di tutto il pianeta. Interessante, no?

Cosa il Mondo conosce della Cina

Di tutti i dati che abbiamo analizzato, noi sappiamo qualcosa del popolo cinese? NO!

Come abbiamo già detto, la Cina è un sistema chiuso controllato dallo Stato. Questo vuol dire che qualsiasi movimento dei cittadini viene smistato dalla loro infrastruttura di rete per controllare utilizzi impropri, come la mitigazione dei dissidenti politici, le news sfavorevoli al regime o le azioni illecite.

I cittadini non utilizzano Facebook, Amazon, Dropbox, Google, WhatsApp, non hanno accesso alle VPN (concesse in deroga solo agli stranieri, ma neanche tutte quelle presenti sul mercato), non hanno la possibilità di inviare e ricevere posta elettronica con il resto del mondo (eh si, quando l’ho scoperto mi è venuta la pelle d’oca), niente!

All’esterno non trapela nulla. Zero assoluto.

Invece noi continuiamo a fare dropshipping, acquistare bancali di cinesate su Wish o su AliExpress, usare lo smartwatch cinese, il robottino aspirapolvere, il router e persino il nostro più fedele compagno di vita: lo smartphone.

Dark web come strumento di evasione

Vista l’impossibilità di accedere al web su scala mondiale, la popolazione cinese si avvale della dark net per scambiare informazioni con il resto del mondo in maniera sicura e in modalità “stealth”: anonimi e nascosti. Questo permette non solo di bypassare il sistema di controllo governativo, ma anche di agire in maniera malevola su scala globale, come succede per i recenti leaks di dati sottratti ad aziende e multinazionali, immediatamente rivenduti nel dark web come fossero caramelle.

Si parla, però, di dati sensibili, documenti di identità, informazioni personali e tanto altro, quindi roba non da poco!

I microprocessori  e le criptovalute completano il quadro

Dove finiscono i processori bramati da tutto il mondo in questo periodo di elevata richiesta? Restano nei confini statali (giustamente) dove la prelazione sulla domanda interna ha favorito la crescita esponenziale di mining farm per calcolare gli hash delle transazioni delle criptovalute (in primis il Bitcoin, che nei primi mesi del 2021 ha avuto un’impennata da record).

Questa carenza di microprocessori dovuti (dicono) al calo di produzione nel periodo di CoVid, ha già fortemente minato il settore dell’informatica, della tecnologia (con relativi indotti) e quello dell’automotive, che ultimamente si è ritrovato con le catene di montaggio completamente bloccate per via della mancanza di centraline elettroniche e sistemi di infotainment.

Tra l’altro, dopo un primo periodo di apertura alle valute virtuali, il Governo ha deciso di fermare l’estrazione delle criptovalute tagliando energia elettrica alle farm, causando un crollo improvviso del valore di Bitcoin e affini.

E’ tutto in mano a pochi “eletti”

Insomma possiamo dire con certezza che se la Terra avesse un Database, questo sarebbe sicuramente rappresentato dalla Cina: posseggono un mare di informazioni, producono tutto ciò che ci passa davanti agli occhi e sono anche controllati da un terribile regime autoritario, che costringe i cittadini a sottostare alle volontà del Governo.

Le stesse autorità che, se si svegliassero una mattina con le palle girate, potrebbero decidere di “chiuderci i rubinetti” su determinate produzioni o sull’accesso dei nostri stessi dati, senza la possibilità di potervi più accedere o rivendicarne la “paternità”. Un vero e proprio blackout che potrebbe scaturire una sorta di dittatura digitale ai danni dell’intero globo terrestre.

Ma quando ce ne accorgeremo sarà già troppo tardi!

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